Quando lo stato spara sulla folla. Le armi non letali come ingrediente della repressione

QUANDO LO STATO SPARA SULLA FOLLA

Le armi non letali come ingrediente della repressione

Le armi non letali e il loro uso contro i movimenti sociali

– le novità in Italia e l’esempio della Francia –

 

Quali obiettivi e che logiche sono legati all’impiego di questi strumenti? 

II° edizione aggiornata, luglio 2018

 

Luglio 2018

Nell’inverno 2016 Prison Break Project ha partecipato ad una chiacchierata al circolo Mesa di Montecchio Maggiore (Vi) organizzata da Alte/Reject in cui si parlava di repressione e nuove armi a disposizione delle polizie europee con un’attenzione particolare a Italia e Francia. A distanza di tempo vogliamo mettere a disposizione dei materiali sulle armi non letali in Francia che avevamo preparato per accompagnare la discussione: una panoramica rivolta a presentare le modalità d’uso delle flashball e più in generale delle armi non letali da parte della polizia francese.

Vogliamo inoltre proporre delle riflessioni su quest’impiego di strumenti tecnologici e militari volti a spezzare le forme di organizzazione del conflitto sociale.

Come era prevedibile, l’adozione di tali armi coinvolge anche l’Italia dove sono finora meno conosciute. Nel marzo 2018 il governo ha dato il via libera a una sperimentazione del Taser in Italia. A luglio è stato emanato il decreto con cui il ministero autorizza la dotazione sperimentale dell’arma in 11 città italiane e dà mandato di acquisto per 30 dispositivi. Per questo abbiamo deciso di aggiornare l’opuscolo con una seconda edizione con i dettagli dell’adozione di questo armamento nel contesto italiano oltre alle evoluzioni dell’impiego generalizzato delle armi non letali nelle lotte sociali in Francia.

Questo scritto vuole ripercorrere – seguendo uno spazio temporale dal 2009 ai giorni nostri, anche a partire da esperienze dirette –  alcuni episodi che riteniamo stimolanti per comprendere la logica dell’uso delle armi non letali e la loro banalizzazione tra Francia e Italia.

 Partiremo dalla presentazione di un caso particolare: quello del collettivo “8 juillet” che prende il nome dall’8 luglio 2009, giorno in cui, a Montreuil – in periferia di Parigi – dopo lo sgombero di uno squat la polizia ha attaccato con i proiettili di gomma una manifestazione di solidali. In cinque sono stati feriti a nuca, fronte e clavicola. Jo ha perso un occhio. Da allora il collettivo “8 juillet” si organizza per fare inchiesta e difendersi della violenza poliziesca sia nelle strade che nelle aule dei tribunali.

Successivamente approfondiremo la tematica dell’arsenale delle armi cosiddette non letali in dotazione della polizia francese e del loro impiego nelle manifestazioni, sottolineando la logica repressiva alla base del loro utilizzo. Per dare un’idea delle loro caratteristiche presentiamo delle schede tecniche di queste armi, oltre ad analizzare il contesto italiano e la recente adozione del taser.

Questo dossier è composto da diversi testi, materiali e video sottotitolati per cercare di presentare le armi non letali e le logiche che sottendono il loro impiego riflettendo sia sul contesto francese che su quello italiano.
Una versione del testo senza i materiali multimediali ma da leggere e stampare è disponibile in formato .pdf

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Quello che non c’è. Tre lingue e un’appendice, di Isuf Ifusi

1 Giugno 2018 Commenti chiusi

 

Abbiamo scelto di pubblicare il racconto su Francesco e Maria perché ci permette di vedere “in azione” alcuni dei dispositivi implicati nel diritto penale del nemico.

Lo faremo attraverso tre testi che parlano tre diversi linguaggi: il sensazionalismo moralizzante dei giornali; il delirio asettico e involontariamente comico di un atto giudiziario; infine, quella che vorremmo fosse la nostra lingua, il parlare autentico e intimo di chi lottando vive.

Vi presentiamo quindi i link ai tre brani, in ordine inverso a quello logico e cronologico degli eventi narrati. Consigliamo di seguire tale sequenza anche nella lettura/ascolto, per percorrere un ideale sprofondamento dalla superficie verso il centro della vicenda.

La vicenda narrata ci permette di affrontare alcuni dei temi del libro Costruire Evasioni. Sguardi e saperi contro il diritto penale del nemico del collettivo Prison Break ProjectIn appendice spieghiamo cosa c’è di vero e cosa di verosimile in questa faccenda.

Francesco e Maria non sono delle vittime, sono forse innocenti rispetto alle accuse che sono state loro rivolte, ma non sono di certo innocui. Come sentirete dalle loro stesse voci si stavano organizzando per mettere a segno qualcosa, anche se chi li ha messi in arresto non ha nemmeno capito di cosa si tratta.

 

Solidarietà a chi sogna di realizzare

Quello che non c’è

 

 

L’articolo esce lo scorso 8 maggio sul Gazzettino di Milano e passa praticamente inosservato, salvo le dichiarazioni di circostanza dei vari esponenti politici.

In quel momento a dominare la scena mediatica nazionale è la notizia che Mattarella ha verificato la possibilità di un governo Lega/5 stelle con affidamento della Presidenza del Consiglio ad una personalità terza. E’ lo sblocco di un impasse istituzionale che dura da due mesi, chi vuoi che se ne importi dell’ennesimo arresto di due sovversivi?

Eppure l’articolo parla di terrorismo, di attentati che avrebbero potuto colpire Renzi e Marchionne, di un’operazione di polizia in grande stile. Ma, evidentemente, ai tempi dell’Isis il “terrorismo” nostrano è una nota di colore da inserire nella colonnina delle news curiose e grottesche, corredata degli estratti delle intercettazioni telefoniche che smascherano i due mostri, giusto per attizzare il voyeurismo di qualche lettore annoiato.

 

Clicca qui per leggere l’articolo del Gazzettino di Milano

 

I brani dell’intercettazione pubblicati dal giornale:

 

 

L’atto del PM Folliero a cui l’articolo del Gazzettino di Milano fa riferimento (citandola erroneamente come ordinanza cautelare) è in realtà una richiesta al giudice di applicazione della custodia cautelare per Francesco e Maria. Appare sullo stesso sito del quotidiano on-line e rimane scaricabile per qualche ora. Qualcuno dalla Procura, resosi conto dell’inopportunità della cosa, deve essersi in seguito mosso per ordinarne l’oscuramento.

Siamo comunque riusciti ad avere copia di un estratto e lo riportiamo nel link cliccabile qui sotto.

 

Leggi l’estratto della richiesta di applicazione della custodia cautelare

 

L’atto della procura parla di un’oscura sigla terroristica, l’FRS. Ciò per cui Francesco e Maria sono sotto indagine è di fatto la loro militanza antifascista, il loro dichiararsi contro partiti e questura, la disponibilità alla violenza politica. Ma ad essere sotto accusa sono anche le loro fantasie, i loro gusti musicali, i loro riferimenti culturali. Quello che nell’articolo del Gazzettino di Milano è il progetto di attentati contro esponenti di spicco del sistema (Renzi e Marchionne) nelle carte della procura ha appena lo spazio di un breve virgolettato “sparamo a Renzi o a Marchionne, va‘”.

I riferimenti ad atti concreti commessi dai due compagni sono quindi piuttosto vaghi. Alcune deduzioni sono spericolate e chiaramente frutto di fraintendimento, come il collegamento con un volantone apparso anni prima dal titolo aletheia , quando con tutta probabilità nella conversazione intercettata ci si vuole riferire proprio al concetto filosofico di aletheia (la verità che scaturisce dalla ricerca, contrapposta alla doxa che indicava per gli antichi greci il mondo delle opinioni preconfezionate).

Per stessa ammissione del firmatario della richiesta di arresto, la procura ignora quali azioni concrete i due indagati stiano preparando, ma “si può presumere che siano legate alle lotte sul fronte carcerario“. Eppure evidentemente dall’intercettazione emerge materiale sufficiente per decidere che sono nemici dello stato.

 

Ma cosa vogliono dirsi veramente Francesco e Maria?

Cosa sfugge alla lente deformata degli inquisitori?

Cosa viene ucciso dalla vivisezione della loro conversazione?

 

 

 

 

Appendice al racconto

Abbiamo scelto di pubblicare questo oggetto narrativo perché ci sembra metta in scena efficacemente i dispositivi tecnici e linguistici usati contro il nemico pubblico. Sebbene il racconto rechi i segni dello sguardo del suo autore (Isuf Ifusi è lo pseudonimo di uno dei compagni di Prison Break Project), l’idea che ne è alla base è maturata mentre studiavamo alcune inchieste contro gruppi di militanti legate ad accuse di terrorismo e ai reati associativi.

Come proviamo a mostrare nel nostro testo “Costruire evasioni”, edito da Bepress, il tono distopico del racconto rappresenta appena un’estremizzazione delle concrete dinamiche che vengono attivate in relazione a questo tipo di accuse.

Il terrorismo e i reati associativi assumono una funzione performativa: semplificando, basta chiamare qualcuno terrorista, sovversivo o eversore dell’ordine democratico per indirizzargli immediatamente un pesante stigma sociale e gravi provvedimenti giudiziari di limitazione della libertà.

Si tratta infatti di configurazioni giuridiche e mediatiche deliberatamente costruite intorno alla criminalizzazione non di condotte concrete, ma piuttosto della stessa soggettività di chi viene colpito. Perciò ad essere sotto accusa in questi casi sono l’ideologia, le relazioni tra le persone, i loro progetti, in fondo i loro sogni rivoluzionari.

Per poter realizzare questa sorta di processo alle intenzioni, l’uso delle intercettazioni acquisisce un ruolo fondamentale. Perciò la repressione democratica rende lecito nei confronti del nemico pubblico ciò che i regimi totalitari operano su scala più sistemica: origliare in maniera capillare e costante “le vite degli altri”, rovistare tra le pieghe dei loro discorsi, rubare fotogrammi della loro vita più intima. Non ci stupisce quindi che tra i numerosi congegni di “voyeurismo poliziesco” ritrovati negli ultimi mesi da compagni/e anarchici/e, vi sia anche una microtelecamera nella cucina di un’abitazione.

Abbiamo avuto una conferma del ruolo fondamentale e multiforme delle intercettazioni analizzando l’inchiesta “Ardire”, ordita qualche anno fa dalla procura di Perugia contro compagni/e accusati di aderire alla Federazione Anarchica Informale.

Come evidenziamo nel lavoro di analisi di tale inchiesta (di prossima pubblicazione sul nostro blog), in molte delle frasi selezionate dagli inquirenti gli indagati esprimono semplicemente le loro convinzioni ideologiche, le quali vengono valorizzate per attribuire l’adesione al progetto “eversivo”. Così, dichiarazioni sulla necessità di abbattere il carcere, di combattere le politiche securitarie, di essere solidali con i detenuti, diventano motivo di attribuzione della responsabilità di azioni ed attentati realizzati all’interno di una campagna di solidarietà con i detenuti.

Tuttavia la funzione repressiva delle intercettazioni non si ferma qui, perché servono anche a sbattere il mostro in prima pagina. L’atto della procura di Perugia con cui sono stati chiesti gli arresti nell’operazione Ardire riporta molte intercettazioni irrilevanti dal punto di vista giuridico, ma utili a gettare pubblico discredito su indagati e indagate, oltre che a seminare zizzania nel movimento. Non è un caso che tale atto sia stato dato in pasto ai giornali che l’hanno pubblicato integralmente.

Insomma, contrariamente a quanto prescriverebbe la legge, l’intercettazione è come il porco, non si butta via niente. E se un elemento non ha diretta valenza incriminatrice magari però può servire ad alimentare la gogna mediatica contro il nemico pubblico. Macchine del fango di cui nessun Saviano si occuperà mai, perché ad esserne oggetto sono soggetti incompatibili con il ruolo della vittima.

Un esempio eclatante di questo tipo di operazioni è un articolo apparso sull’Espresso qualche anno fa. La sedicente “inchiesta” in verità si limitava a glossare, in maniera molto più spinta di come il Gazzettino di Milano fa nel nostro racconto, ampi stralci delle intercettazioni della Digos di Bologna. Cazzeggi tra compagni, goliardia becera e sparate paradossali diventano materiale ghiottissimo per costruire un “pezzo” che ha per sottotitolo “emerge che nella cosiddetta area insurrezionalista c’è anche chi vuole picchiare gli extracomunitari e chi spera di ‘sottrarre terreno’ ai fascisti prendendosela con i gay”.

L’articolo è costruito secondo tutti i crismi della campagna di panico morale, con sfoggio di giudizi moralistici da circolo Auser (“non c’è un’ideologia di base ma solo una serie di slogan “anti””), insulti che non la mandano a dire (“Gli insurrezionalisti che fanno capo al gruppo di Bologna sono violenti e paranoici”) e annunci di imminenti apocalissi (“oggi le comuni insurrezionaliste sparse in Europa sentono che è arrivato il loro momento: la crisi economica e le manifestazioni di protesta gli offrono l’occasione per prendere il controllo della piazza”).

Il sociologo inglese Stanley Cohen ha spiegato perfettamente come funziona: basta manovrare l’opinione pubblica paventando l’avvento di un mostro sociale (un folk devil), coinvolgere quanti più imprenditori morali si riesce in questa campagna di moral panic, calare infine la mannaia della reazione repressiva. E’ così che si costruisce socialmente il nemico pubblico.

Per intercettare i “sospetti” si spendono in Italia 250 milioni di euro all’anno. Con la legge finanziaria del 2017 una parte di questa spesa viene secretata perché passa dalla competenza del Ministero di Giustizia al comparto dei… Servizi Segreti! Non sappiamo quanta parte di queste spese siano rivolte ai processi di compagni e compagne. Nè sappiamo quanto sia il denaro stanziato per geo-localizzare o per video-riprendere.

Sappiamo però che i processi per “associazione sovversiva” o per “associazione con finalità di terrorismo”, i quali si fondano sistematicamente sulle intercettazioni, finiscono quasi sempre con l’assoluzione dal reato associativo (spesso dopo lunghi periodi di detenzione cautelare).

Ma, come dicevamo, le intercettazioni servono ad altri scopi che non a quello di fornire prove di colpevolezza giuridica. E possono rapidamente diventare uno strumento di controllo eccezionale, facilmente estendibile anche al di fuori della repressione dei reati, soprattutto in un’ambiente sociale in cui occhi e orecchie umane sono ormai surclassati dai loro omologhi elettronici.

Inoltre, le intercettazioni rendono chiunque potenzialmente ricattabile e sottomesso, nel momento in cui ogni frammento di vita personale può essere esposto allo sguardo pubblico, anche a prescindere da responsabilità giuridiche.

Ce lo ha mostrato con la sua solita cruda esattezza la serie TV Black Mirror, con l’episodio “Zitto e balla”. In cinquanta minuti di serratissima tensione narrativa i personaggi vengono costretti a fare di tutto sotto la semplice minaccia di rivelare alcuni particolari della loro vita più intima, catturati da una telecamera. Ognuno di loro ha qualcosa da nascondere a tutti i costi, così come nella vita di ciascuno di noi ci sono (per fortuna) parti che non vorremmo sbandierare ai quattro venti.

Non è certo semplice sottrarsi al dispositivo dell’intercettazione in una “società della trasparenza”, in cui domina la compulsione a scoprire integralmente allo sguardo pubblico gli aspetti più reconditi di ciascuna esistenza. Ugualmente non è facile combattere la forza repressiva delle accuse di terrorismo in un ordinamento il diritto penale del nemico assume sempre più peso.

Per questi stessi motivi, tuttavia, trovare i modi per contrastare questi meccanismi è fondamentale, non solo per i militanti e le militanti, ma per la libertà di ciascuno e ciascuna.

 

 

RINGRAZIAMENTI

Un grazie di cuore a Laura e Stefano che hanno prestato le loro voci e il loro genio ai personaggi di Francesco e Maria (qui il loro sito, per avere un’idea delle belle cose che fanno: http://www.teatridellaviscosa.com). Grazie a Denis per i suoi preziosi consigli, a Daniela per l’aiuto grafico e a Luca per il supporto tecnico. E grazie agli amici e alle amiche che hanno letto e dato un parere: Gianluca, Martina, Francesco, Stefania.

 

 

 

 

 

 

 

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Contro il 41 bis

20 Marzo 2018 Commenti chiusi

Quando si parla di repressione, diritto e “garanzie” di accusati e condannati c’è una sorta di buco nero, che riguarda tutto ciò che inerisce il “carcerario”.

Quali sono le vere finalità del carcere, di questo non luogo in cui i sistemi giuridici, democratici e non, confinano i reietti, gli indesiderabili, i sovversivi, i militanti, i “criminali”? Quali sono le condizioni che rendono possibile, a livello istituzionale, conciliare i principi della “finalità rieducativa della pena” e del “divieto di trattamenti inumani”, con le pratiche di annullamento, di coercizione, di sofferenza e di tortura che il carcere impone nella sua quotidianità?

Per capire la vera natura delle prigioni, oltre a leggere “Sorvegliare e punire” di Foucault si possono seguire i lavori di associazioni come Antigone, Ristretti in carcere e dei gruppi e dei collettivi che si occupano di lottare contro la repressione.

Per quanto concerne il dibattito politico italiano sulla questione carceraria, ci sono alcuni punti nodali, i quali, quando vengono analizzati senza finzione né “abbellimento” retorico, fanno emergere in modo prepotente la vera natura del carcere. Questi sono la detenzione preventiva, l’ergastolo ed il cosiddetto “carcere duro”, ovvero gli articoli 41 bis e 14 bis dell’ordinamento penitenziario.

Su quest’ultimo punto grava un macigno ideologico. Quando viene preso in considerazione, infatti, molti “sinceri democratici” strumentalizzano ad arte lo scopo che, all’inizio degli anni 90 (almeno retoricamente) “giustificava” l’introduzione dell’articolo 41 bis nell’ordinamento penitenziario, ovvero la “lotta allo stragismo mafioso”. In realtà la forma di “detenzione speciale” antenata di quella attuale, ma in tutto e per tutto analoga, è nata nel 1977, ad opera di una tra le tante leggi speciali e poi è stata istituzionalizzata dalla legge Gozzini del 1986. Da allora ad oggi, destinatari del “carcere duro” sono quelli che vengono definiti “irriducibili”, sia che appartengano a sigle della lotta armata sia che rientrino nel novero della criminalità organizzata o meno. Lo scopo reale infatti pare proprio quello di far rientrare il refrattario nei ranghi del carcerato o del “coatto” modello, piuttosto che contrastare fenomeni criminali endemici. E le caratteristiche di questa detenzione servono a verificare quest’assunto.

Spesso in abbinamento all’articolo 14 bis (che prevede una forma estrema di isolamento), il confinato in regime di 41 bis trascorre in cella singola 22 ore su 24; il periodo di due ore di “socialità” è fortemente limitato (mai più di quattro persone insieme, scelte dall’amministrazione, al chiuso o all’aperto); le sbarre delle celle sono sempre chiuse; viene sottoposto a restrizioni per quanto riguarda il cibo (divieto assoluto di cucinare in cella e limitazioni del sopravvitto), la detenzione di libri, (non più di quattro e controllo sui titoli); all’impossibilità pratica di comunicare con altri detenuti (c’è perfino l’interdizione “visiva”, con la chiusura del blindo al passaggio di prigionieri davanti alla cella) viene aggiunta spesso la videosorveglianza perenne di cella e bagno. Prescrizioni puramente afflittive che non possono in nessun modo essere collegate con una sedicente “situazione di emergenziale pericolosità” dei ristretti.

La vicenda di Nadia Lioce, recentemente, ha avuto l’effetto di sollevare, almeno parzialmente, il velo di Maya su questa forma estrema di detenzione. Pur sottoposta al regime di 41 bis nel carcere dell’Aquila dal 2005, è riuscita ad effettuare diverse proteste contro le privazioni via via più pesanti che le venivano comminate, tra cui, in ultimo, la requisizione di libri e materiale cartaceo inerente il proprio processo. Dopo aver eseguito una battitura alle sbarre della cella con una bottiglietta di plastica, viene rinviata a processo per “disturbo della quiete pubblica ed oltraggio a pubblico ufficiale”. Oltre il danno, la beffa. Questa la situazione che ha portato alcuni solidali a manifestare la vicinanza e la solidarietà con Nadia Lioce e che ha portato, come conseguenza, la criminalizzazione e l’emanazione di 31 denunce.

Qui di seguito alcuni link di approfondimento.

https://studiquestionecriminale.wordpress.com/2018/03/03/uniformare-il-carcere-duro-cosa-cambia-e-cosa-non-cambia-con-lultima-circolare-in-tema-di-41-bis-di-federica-brioschi/

http://ildubbio.news/ildubbio/2017/11/14/stata-brigatista-allora-la-persecuzione-legittima/

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Presidio in solidarietà ai detenuti di Poggioreale

10 Gennaio 2018 Commenti chiusi

Sabato 27 gennaio si terrà un presidio davanti al carcere di Poggioreale, Napoli, in solidarietà ai detenuti. Rilanciamo ed aderiamo, come Prison Break Project, all’appello che promuove l’iniziativa, che riportiamo sotto, ed invitiamo le realtà interessate a contattare i compagni e le compagne della Mensa Occupata. Per ulteriori notizie https://www.facebook.com/events/805266229646892/

“Sabato 27 gennaio porteremo tutta la nostra solidarietà ai detenuti del carcere di Poggioreale, provando a stare al fianco di chi, rinchiuso in quelle celle, resiste quotidianamente con dignità all’abbruttimento e all’isolamento dello Stato.
Saremo al carcere di Poggioreale, che rappresenta, forse più degli altri, la cartina al tornasole di quanto possa essere agghiacciante l’infame violenza della detenzione.
Non è un caso che il maxi carcere campano sia tristemente famoso per essere uno dei peggiori d’Italia. Poggioreale è sovraffollamento, sommersione farmacologica, pestaggi reiterati dai secondini e puntualmente taciuti. Rispetto a questi ultimi, inizierà il primo marzo 2018 al Tribunale di Napoli il processo contro alcuni secondini protagonisti delle vicende legate alla tristemente nota “cella zero”.
Il carcere di Poggioreale sorge in una struttura del 1905, con padiglioni talvolta senza intonaco e celle fatiscenti, buie e piene di muffa, senza docce, con finestre talvolta rotte e riscaldamento non funzionante.
Le celle sono strapiene: a fronte di una capienza di 1637 detenuti, il carcere di Poggioreale ne tiene prigionieri più di 2200, con un tasso di sovraffollamento (135%) nettamente più alto rispetto alla media nazionale (115%).
La casa circondariale di Poggioreale la conosce bene Maurizio Alfieri, deportato qui dal carcere di Opera, per punizione in regime di isolamento ex art. 14-bis o.p. dopo aver protestato nel carcere milanese per un miglioramento delle condizioni di detenzione. Il regime di sorveglianza particolare del 14-bis prevede restrizioni al trattamento e ai diritti dei detenuti ritenuti pericolosi per la sicurezza penitenziaria e costituisce la forma più atroce di detenzione insieme al regime di 41 bis.
Il detenuto in regime di 41-bis – o in isolamento al 14-bis – cessa di avere qualsiasi diritto scontando la sua pena come una vera e propria tortura. Al detenuto in 41-bis vengono concesse al massimo 2 ore d’aria, una celletta due metri per tre, un solo colloquio al mese e la possibilità di vedere in tv solo i canali nazionali. Vi è impossibilità di cucinare, socializzare con gli altri detenuti e avere qualsiasi tipo di contatto con il mondo esterno.
Misure afflittive estreme come il 41bis e il 14bis – nonché l’ergastolo – come potrebbero portare al raggiungimento dell’obiettivo tanto sbandierato del reinserimento sociale dei condannati?
Ma ancor prima: che pretesa di rieducazione potrebbero avere le gabbie di una società che si basa su disuguaglianza ed esclusione, miseria e disoccupazione, spingendo migliaia di persone all’illegalità?
Il carcere di fatto esiste per garantire il controllo su quei milioni di persone che ogni giorno subiscono gli effetti della crisi economica e di un ordine sociale iniquo e ingiusto.
Molte di queste persone si trovano e si troveranno costrette all’extralegalità per ovviare in qualche modo alle condizioni di marginalità e povertà in cui si trovano.
Attualmente ci ritroviamo con oltre 58.000 adulti detenuti, in costante aumento dagli ultimi provvedimenti deflattivi, a fronte di una certificata – dallo stesso governo – riduzione dei reati commessi.
Ciò significa ritrovarsi con un tasso di sovraffollamento oltre il 115%; condizioni igieniche – già precarie in condizioni “normali” – ancor più compromesse; spazio al di sotto dei 3 metri quadri per singolo detenuto; aggravamento dei sistemi contenitivi – fisici e chimici – da parte della polizia penitenziaria; aumento dei suicidi, che solo nel 2017 sono arrivati a 52, né si sono fermati con l’inizio del nuovo anno.
Eppure i governi continuano a promuovere politiche securitarie attraverso cui contenere le “pericolosità sociali”. Un’ideologia securitaria che estende sempre più il confine della carcerazione trasformando le nostre stesse città in carceri a cielo aperto, con centinaia di telecamere, militari ad ogni angolo e posti di blocco; grazie alla quale tra la popolazione cresce la richiesta di pene esemplari, per qualsiasi condotta fuori dagli schemi tracciati dalla “decorosa normalità” della classe dominante.
Contro questa operazione ideologica, basta leggere alcuni dati circa la composizione della popolazione carceraria per smentire ogni categoria di criminalità e delinquenza intrinseca e di matrice lombrosiana.
Infatti più del 56% dei detenuti è in carcere per reati contro il patrimonio. Il 34,7% è in carcere per reati legati alla droga.
Gli analfabeti certificati in carcere sono più dei laureati.
Quasi la metà dei detenuti ha figli da mantenere.
La maggior parte dei detenuti proviene dalle regioni col più basso reddito pro capite e la più alta disoccupazione. Il 17,6% di tutta la popolazione carceraria è di provenienza Campana (se teniamo conto dei soli detenuti italiani, la percentuale dei campani si alza al 27,27%, oltre un quarto); seguono i siciliani, i pugliesi e i calabresi.
Alla luce di questi dati, è quindi facile intuire che non possa esistere un carcere buono – rieducativo e risocializzante – essendo il carcere stesso una istituzione che assolve alla funzione di riassorbimento e di allontanamento dalla società di chi non è incluso all’interno dai rapporti di produzione e proprietà privata.
A ciò va aggiunto che, negli ultimi anni, l’età media dei detenuti è aumentata vertiginosamente.
La fascia di età maggiormente rappresentata è passata da quella dei 30-34 anni nel 2005 a quella dei 35-39 nel 2017, a testimoniare che l’inasprirsi della crisi sociale e la caduta dei tassi di occupazione hanno influito in maniera determinante all’interno delle dinamiche sociali, e quindi anche detentive.
Mentre le retoriche securitarie invadono l’opinione pubblica e l’agenda politica strumentalizza il carcere con promesse ai reclusi di amnistie e miglioramento delle condizioni detentive puntualmente disattese, noi scegliamo di stare dalla parte dei detenuti, consapevoli del fatto che soltanto attraverso le forme di solidarietà e la rete di rapporti intrecciati tra l’interno e l’esterno del carcere sia possibile distruggere l’infame gabbia repressiva che esso rappresenta.
Negli ultimi giorni del 2017 il governo ha licenziato i decreti attuativi della legge delega per la riforma dell’ordinamento penitenziario.
In linea di massima la riforma dovrebbe prevedere un generale allargamento delle possibilità di accesso alle misure alternative al carcere. Per un’analisi approfondita delle misure adottate bisognerà attendere la pubblicazione dei decreti. Alcune osservazioni critiche, però, possono essere fatte già sulla base della legge delega e dei comunicati del consiglio dei ministri.
Innanzitutto la classica clausola di invarianza finanziaria apposta alla riforma, con la quale si esclude un potenziamento degli uffici di esecuzione penale esterna e della magistratura di sorveglianza, attraverso i quali dovrebbe essere praticato l’accesso alle misure alternative per i detenuti, mentre sappiamo, a titolo di esempio, che già ad oggi non è raro il caso che la magistratura di sorveglianza prenda in esame una domanda di liberazione anticipata quando è già stata espiata per intero la pena.
Inoltre l’esclusione dell’applicazione della riforma per i detenuti per reati di mafia e terrorismo. Una differenziazione alla quale siamo stati abituati per decenni e che sembra acquisire sempre maggiore stabilità per qualsiasi intervento in campo penale o penitenziario.
Proprio sulla scorta dell’esperienza maturata nei decenni, sappiamo che il principio della differenziazione costituisce uno dei sistemi più abietti attraverso i quali lo Stato frammenta la popolazione detenuta prevedendo regimi detentivi diversificati. Si tratta di una logica che fa leva su un’opinione pubblica manipolata quotidianamente in senso giustizialista, attraverso la quale, peraltro, risulta agevole l’introduzione di dispositivi repressivi (carcerari e non) sempre più stringenti, prima previsti ed applicati per “i detestabili”, poi puntualmente estesi a tutte le categorie.
E’ un principio in base al quale, mentre si annunciano generali miglioramenti delle condizioni detentive, già si applicano norme ancor più stringenti per i detenuti in regime di 41-bis, da ultimo previste dalla circolare del D.a.p. in materia.
E’ un principio che va assolutamente rigettato, e che rigettiamo gridando a gran voce che vogliamo la liberazione di tutti i prigionieri, nessuno escluso.
Nello stesso senso, peraltro, può e deve essere letta una riforma che, nello sforzo di adeguarsi a canoni europei di detenzione carceraria, attua sostanzialmente un perfezionamento del sistema premiale che caratterizza le carceri italiane a partire dall’introduzione dell’ordinamento penitenziario: il classico sistema del bastone e della carota, differentemente riservati a chi risulta più o meno accomodante nei confronti dell’amministrazione penitenziaria e delle guardie carcerarie.
Una logica nella quale si rischia di cadere, peraltro, ogniqualvolta si tende a valorizzare una prospettiva di allargamento delle misure alternative al carcere, che sicuramente migliorerebbe le condizioni di sopravvivenza intramurarie consentendo ad alcuni detenuti di “beneficiare” di uscite anticipate e misure meno afflittive rispetto alla detenzione in senso stretto, ma che non tiene conto – oltre che di un processo di atomizzazione delle prospettive di liberazione dal carcere, tale da disinnescare ogni prospettiva di liberazione collettiva e di definitiva rottura con il sistema-carcere – del processo di “incarceramento” della società: un processo testimoniato, oltre che dalla visibile militarizzazione e videosorveglianza dei quartieri, da una invisibile schiera di semi-prigionieri agli arresti domiciliari, in messa alla prova, in libertà vigilata, ecc.
In sostanza, un ampliamento delle misure alternative non riduce l’incarceramento, ma tende a moltiplicarlo in maniera meno visibile. A riprova di ciò, a fronte di un costante aumento del numero dei detenuti (attualmente oltre 58mila), aumenta costantemente anche il numero dei sottoposti a misure alternative (attualmente oltre 47mila, ed in aumento alla velocità di circa mille persone al mese).
E mentre si promettono misure alternative e sfollamenti generali, già è stato approvato il progetto per la costruzione di un maxi carcere a Nola, su cui si aprono nuove prospettive speculative. Questo nuovo colosso avrebbe dovuto ospitare 450 detenuti, poi aumentati a 900, per arrivare infine ad una capienza regolamentare di 1.200 detenuti, che potranno realisticamente diventare 2.400 essendo le celle progettate come singole, questo farebbe dell’Istituto nolano uno dei più capienti carceri in Italia e rischia di trasformare la Città Metropolitana di Napoli in un vero e proprio distretto del penitenziario.

Facciamo sentire la nostra vicinanza ai detenuti che alzano la testa!

Rafforziamo la lotta contro il carcere, l’isolamento e il 41 bis, l’ergastolo e la differenziazione!
Amplifichiamo la voce dei reclusi oltrepassando le mura dell’isolamento carcerario!”

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Costruire Evasioni: otto mesi lungo le strade…

27 Dicembre 2017 Commenti chiusi

Era il 5 maggio 2017 quando il libro “Costruire Evasioni. Sguardi e saperi contro il diritto penale del nemico” è uscito in libreria. Un testo maturato dopo una lunga riflessione alimentata da numerosi scambi e chiacchiere. Siamo stati molto contenti di lavorare con la casa editrice Bepress Edizioni di Lecce per questa pubblicazione. La nostra volontà era e rimane quella di alimentare un dibattito di movimento contro la repressione. In questi otto mesi siamo riusciti a girare dal nord al sud Italia tra centri sociali e spazi autogestiti per discutere e confrontarci con tante situazioni differenti. Prosegui la lettura…

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Quando lo stato spara sulla folla – Dossier sulle armi non letali

QUANDO LO STATO SPARA SULLA FOLLA

Le armi non letali come dimensione tecnologica della repressione di piazza

Novembre 2017

 

Nell’inverno 2016 Prison Break Project ha partecipato ad una chiacchierata al circolo Mesa di Montecchio Maggiore (Vi) organizzata da Alte/Reject in cui si parlava di repressione e nuove armi a disposizione delle polizie europee con un’attenzione particolare a Italia e Francia. A distanza di tempo vogliamo mettere a disposizione dei materiali sulle armi non letali in Francia che avevamo preparato per accompagnare la discussione: una panoramica rivolta a presentare le modalità d’uso delle flashball e più in generale delle armi non letali da parte della polizia francese.

Vogliamo inoltre proporre delle riflessioni su quest’impiego di strumenti tecnologici e militari volti a spezzare le forme di organizzazione del conflitto sociale.

Partiremo dalla presentazione di un caso particolare, quello del collettivo “8 juillet” (8 luglio) che prende il nome dall’8 luglio 2009 giorno in cui, a Montreuil – in periferia di Parigi – dopo lo sgombero di uno squat la polizia ha attaccato con i proiettili di gomma una manifestazione di solidali. In cinque sono stati feriti a nuca, fronte e clavicola. Jo ha perso un occhio. Da allora il collettivo “8 juillet” si organizza per fare inchiesta e difendersi della violenza poliziesca sia nelle strade che nelle aule dei tribunali.

Successivamente approfondiremo la tematica dell’arsenale delle armi cosiddette non letali in dotazione della polizia francese e del loro impiego nelle manifestazioni, sottolineando la logica repressiva alla base del loro utilizzo. Per dare un’idea delle loro caratteristiche abbiamo tradotto delle schede tecniche di queste armi.

Questo dossier è composto da diversi testi, materiali e video sottotitolati per cercare di presentare le armi non letali e le logiche che sottendono il loro impiego riflettendo sia sul contesto francese che su quello italiano.
Una versione del testo senza i materiali multimediali ma da leggere e stampare è disponibile in formato .pdf cliccando il formato che preferite…


Leggi l’opuscolo in formato “pagina per pagina”!

Stampa l’opuscolo in formato “libretto” (A5 fronte/retro)!

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Ricominciano da nord a sud le presentazioni di Costruire Evasioni

8 Novembre 2017 Commenti chiusi

Il nostro libro è ancora disponibile in libreria (se non è in scaffale e lo ordinate arriva in pochi giorni) o negli store online.
Se siete interessati per una presentazione o per una discussione con Prison Break Project, contattateci per mail: prisonbreakproject@autoproduzioni.net

Dopo qualche mese di sosta, ecco che ricominciano le date di presentazione di Costruire Evasioni e le chiacchierate sul come organizzare una risposta alla repressione dei movimenti sociali.

Ecco il calendario dei prossimi incontri:

Venerdi 17 novembre, ore 20
Bologna – Circolo anarchico Berneripiazza di s. stefano 1
info: circoloberneri.indivia.net/

Sabato 18 novembre, ore 17.30
Parma – Casa Cantoniera Autogestita – via Mantova 24
info: cantoniera.noblogs.org/

Venerdi’ 1 dicembre
Bari – Ex caserma liberata – via Petroni 8c
info: https://nonsolomarange.noblogs.org/

Sabato 2 dicembre
Taranto – Casa Occupata  – via Garibaldi 210

Domenica 3 dicembre ANNULLATA
Napoli – Mensa Occupata – via Mezzocannone 14

Purtroppo per un inconvieniente la data è annullata ma speriamo di organizzare presto il nostro ritorno a Napoli

Intervista a Prison Break Project sulla rivista Malamente

4 Ottobre 2017 Commenti chiusi

Malamente è una rivista di lotta e critica del territorio realizzata da compagni e compagne marchigiani.
Sul numero di settembre la trovate una bella intervista a Prison Break Project realizzata da un compagno dell’Associazione Mutuo Soccorso di Bologna che ha discusso con noi (mutuosoccorso.noblogs.org).
Abbiamo parlato del nostro libro “Costruire Evasioni” allargando lo sguardo a un’analisi sulla conformazione attuale della repressione e sulle prospettive politiche per difendersi e reagire ad essa.
Grazie ai/alle compagne di Malamente per lo spazio e per l’interesse verso le questioni che come Prison Break Project portiamo avanti!

Cliccate qui per una versione pdf dell’intervista: Difendersi in tribunale, costruire solidarietà nelle strade (con le belle immagini delle sculture di Federico Molinaro) se no scorrete in basso per la versione testuale, buona lettura!

Maggior info sulla rivista e per ordinare i vari numeri li trovate sul loro sito: https://malamente.info.

DIFENDERSI IN TRIBUNALE, COSTRUIRE SOLIDARIETÀ NELLE STRADE

Intervista di A. Soto al collettivo Prison Break Project

Oggi più che mai, parallelamente ai nostri percorsi di lotta, pensiamo sia importante parlare
di repressione. Non tanto per un’attitudine al vittimismo, quanto piuttosto per offrire alle
lotte stesse nuovi strumenti di autodifesa ma anche di critica, resistenza e opposizione. Anche nelle Marche e in Romagna, nonostante la situazione e la composizione delle lotte sociali non abbia motivato speciali ondate repressive, abbiamo sperimentato l’applicazione selettiva dei nuovi meccanismi di diritto penale. Senza dubbio un caso eclatante è quello di Alessio Abram, compagno e ultras impegnato nel calcio antirazzista, che ha visto di recente precipitare la sua situazione penale fino alla condanna a oltre 4 anni di carcere a causa della violazione del DASPO di cui ha già scontato più di un anno e mezzo in carcere ad Ancona e attualmente è in semi-libertà con obbligo di rientro notturno nel carcere di Barcaglione – Ancona. Insieme a lui nel capoluogo dorico altri ultras hanno visto aprirsi le porte del carcere con pene detentive irreali, intrappolati dalle misure di prevenzione. Sempre nelle Marche finiscono sotto osservazione le lotte dei terremotati, di cui ogni mobilitazione, anche la più pacifica e simbolica, viene costantemente monitorata e se necessario censurata dalla polizia politica. Non dimentichiamo infine la repressione spropositata in occasione della contestazione dell’aprile 2016 per il comizio di Salvini a Rimini e l’accanimento della stessa procura nei confronti delle esperienze di aggregazione e di lotta anfascista in Romagna di cui in parte abbiamo raccontato nel numero 7.
Per queste ragioni abbiamo scelto di proporre un’intervista al collettivo Prison Break Project, autore di un interessante lavoro edito da Be Press (Lecce) dal titolo “Costruire evasioni. Sguardi e saperi contro il diritto penale del nemico” (per contatti: prisonbreakproject@autoproduzioni.net).
A condurre l’intervista è un compagno aderente all’Associazione di mutuo soccorso
per il diritto di espressione, che opera da una decina di anni a Bologna e provincia. Prosegui la lettura…

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Recensione di Costruire Evasioni sulla rivista Studi sulla Questione Criminale Online

19 Luglio 2017 Commenti chiusi

Segnaliamo un’accurata recensione del nostro libro pubblicata dal sito della rivista Studi sulla Questione Criminale Online e scritta da Alessandro Senaldi dell’Università di Genova. Nel testo sono le questioni più teoriche e giuridiche ad essere analizzate in priorità senza dimenticare pero’ di considerare anche l’importanza dei protagonisti delle lotte: i movimenti e chi vi partecipa.
Siamo contenti che un interesse per le questioni della repressione dei movimenti sociali possa arrivare anche a toccare ricercatori e ricercatrici universitari.

Clicca qui per il link diretto alla recensione!

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Prison Break Book, date di fine giugno

16 Giugno 2017 Commenti chiusi

Prison Break Project continua i  giri di presentazione del libro Costruire Evasioni. Sguardi e saperi contro il diritto penale del nemico, uscito in libreria da poco più di un mese. Dopo le 9 date del mese di maggio, conclusosi con la tripletta romana in compagnia di Salvatore Ricciardi, eccoci pronti per le prossime discussioni!

Questa volta saremo tra Lombardia e Veneto fino all’inizio di luglio.

Si comincia con Milano:

Venerdì 23 giugno dalle ore 19:30 al Piano Terra via Federico Confalonieri 3, quartiere Isola.
Lauto aperitivo mangereccio e poi chiacchierata sul libro e i suoi temi.
Più dettagli sul blog di PianoTerra o su Fb

Sabato 24 giugno si continua a Milano allo Spazio Comune Cuore in Gola in Via Gola, dalle 19.30 con presentazione e aperitivo benefit.

Domenica 25 giugno saremo a Mantova dalle ore 13 allo Spazio Sociale La Boje!, per partecipare al “NO Border DAY: costruire evasioni dalle politiche securitarie”. Ci sarà un pranzo sociale e la presentazione del libro insieme ad una discussione con interventi della Rete Antirazzista Mantova. Parleremo anche delle nuove riforme repressive, in particolare dei decreti Minniti-Orlando.
Più dettagli sul Fb de la Boje!

Martedì 27 giugno torneremo a fare visita ai nostri amic* del circolo La Mesa di Montecchio Maggiore (Vicenza) in via Leonardo da Vinci, 50.
Dalle ore 19 apericenazza e a seguire discussione, più dettagli qui.

Venerdì 30 giugno saremo a Torino ospiti del Centro di documentazione Porfido, per una serata di presentazione presso i locali di Radio Black Out (via Cecchi 21A).
Dalle ore 19 aperitivo con buffet e discussione a stomaco pieno.

Infine sabato 1 luglio e domenica 2 parteciperemo alla due giorni d’incontri organizzati dalla Cassa Antirepressione delle Alpi Occidentali in val di Pellice. Sarà l’occasione per confrontarsi con altre realtà che si occupano di lotta alla repressione per scambiarsi idee ed esperienze. Nella mattinata di sabato 1 è prevista la presentazione del libro Costruire Evasioni.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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