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Ciao Salvo

10 Aprile 2020

foto di Baruda

9 aprile 2020

 

Oggi se ne è andato Salvatore Ricciardi.
Mai come in questi giorni scanditi dalle curve di mortalità e dalle statistiche sui contagi, si rischia che il senso delle storie insieme singolari e relazionali di ognun* si perda nella banalità e nell’inflazione del numero.

Salvatore non è morto di Covid-19, ma i protocolli sanitari legati all’emergenza hanno imposto che i suoi ultimi giorni d’ospedale trascorressero in completa solitudine. Siamo sicuri che altrimenti in molti avrebbero attraversato la stanza di quell’ospedale per un ultimo saluto e crediamo che anche Salvatore avrebbe desiderato congedarsi così, salutando compagn* e amic* vecch* e nuov*.
La sua storia personale è stata segnata dalla lotta, dall’avventura collettiva e di classe, che dagli anni 60 ad oggi lo hanno visto sempre convintamente schierato dalla parte degli oppressi.
Salvo, che la galera se la portava dietro senza averlo cambiato, ha fino all’ultimo lottato contro quelle dannate sbarre con il pensiero sempre rivolto a chi vi è ancora rinchiuso. La sua voce, la sua esperienza e la sua memoria sono un patrimonio collettivo che lui non ha mai smesso di far circolare, di mettere in comune, per poter continuare a lottare.

Prova ancora. Fallisci ancora. Fallisci meglio.
Sulla prosa di Beckett ci davi consigli concreti da chi ha attraversato le lotte di ieri e immaginato quelle dell’oggi e di domani.
Fino alla fine: l’incidente che lo ha portato in ospedale è avvenuto durante un attacchinaggio.
E lo stesso giorno, il 7 marzo, il suo blog – un taccuino per gli appunti arguti aperto al mondo – pubblicava un appello per la liberazione dei detenuti e la loro sottrazione a quel destino di pandemia
concentrazionaria che lo stato sembra deciso a garantire per loro.

Abbiamo avuto la fortuna di conoscere Salvatore solo pochi anni fa, quando gli abbiamo chiesto di darci un parere su Costruire Evasioni, un libro sulla repressione dei movimenti sociali che stavamo ultimando.
In quell’occasione ci ha sbalordito la sua attenzione e la sua generosità. Nemmeno ci conosceva, ma dopo appena un paio di giorni da quando gli avevamo inviato il manoscritto ce lo ha restituito pieno di osservazioni acute e delle critiche sacrosante e meditate di chi si occupa del tema da una vita (e non solo per averne scritto in libri e blog, ma per averne affrontato il peso sulla propria pelle).
Il tutto per di più era accompagnato da una delicatezza ed un’umiltà che francamente è sempre più difficile ritrovare nel mondo superficiale e narcisistico che contribuiamo a costruire, anche fra
compagn*.

Non c’era nessun piedistallo nelle sue parole, nessuna lezione da imparare o teoria da rispettare. Curiosità, tanta, e ancor di più determinazione a lottare senza cedere alla fatica e allo sconforto.
Bastavano due sedie e il fumo della pipa avvolgeva discussioni che si ricamavano per ore attraversando decenni, oceani e immaginando strategie concrete per una pratica militante.
Gli siamo molto grati per averci dato questo esempio di naturalezza nella generosità, per averci regalato la sua preziosa visione scrivendo la prefazione al nostro libro e per averci accompagnato in
tre vivaci giornate di presentazione nella sua città.

Siamo stati fortunati a seguire quel berretto e quel sorriso sempre fresco e un po’ sfottente per le vie di Roma. Perché con i suoi racconti li abbiamo visti i proletari di Centocelle camminare per via dei castani e l’abbiamo sentita la rabbia dei discorsi ripetuti mille volte tra le volte del circolo del Tufello ai piedi delle case popolari. Abbiamo visto la generosità di un uomo, appena conosciuto,
che ci ha aperto le porte di casa per registrare l’intervista che sarebbe andata in onda durante il suo programma su Radio Onda Rossa; abbiamo apprezzato la capacità di intercettare e mettere in
relazione i rivoli delle diverse realtà politiche attente al discorso antirepressivo e anticapitalista, nell’instancabile necessità di analizzare ed agire nel presente.

 

È triste pensare che Salvo sia stato costretto a morire in solitudine, destino comune a molte altre persone in questo periodo.
Eppure, ci piacerebbe pensare che non è andata veramente così. In questi giorni in cui cercavamo notizie delle sue condizioni, piccole coincidenze e “telepatie” ci dicevano che non erano recisi i fili
tra tutti noi e lui.
Come è successo ieri, quando con la compagna romana che ci teneva informati via messaggio, ci
siamo stupiti a volerci telefonare nello stesso momento. O come è accaduto qualche giorno fa
quando uno di noi si è svegliato sudato dopo avere sognato Salvatore.

Ha detto Mauro Rostagno: Essere “compagni nel sogno” è quando cominci a vedere il mondo non solo nella dimensione banale che chiamiamo reale, ma anche nel suo rovescio meno banale e più
“reale”… non è solo un fenomeno politico. E’ la vibrazione che senti nell’aria, nel tuo corpo quando umiliano nel corpo o nei desideri qualcuno che può essere in Russia o in Spagna o all’Asinara.
Essere “compagni nel sogno” è intuire, sentire, amplificare, non rimanere chiusi.

Forse allora non è vero che Salvo è morto da solo e un po’ di lui resterà nei nostri sogni, nella nostra memoria e nelle nostre lotte. Forse, anzi sicuramente, il suo sguardo profondo, capace di carpire le connessioni tra il mondo dei reclusi e la realtà politica quotidiana ci ha visto giusto, ancora una volta: occorre essere consapevoli dell’importanza di “rimettersi le scarpe”, espressione che, come Salvo ci ha raccontato, nel gergo carcerario significa abbandonare la comodità delle pantofole per essere reattivi a quello che succede, capaci di non subire e contrattaccare. Esigenza più che mai attuale in questa fase in cui siamo tutti stati assoggettati a una sorta di condizione semicarceraria sul divano di casa.

Grazie di tutto Salvo
“Chi ha compagni non muore mai”

 

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