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Archivio per Giugno 2018

Quello che non c’è. Tre lingue e un’appendice, di Isuf Ifusi

1 Giugno 2018 Commenti chiusi

 

Abbiamo scelto di pubblicare il racconto su Francesco e Maria perché ci permette di vedere “in azione” alcuni dei dispositivi implicati nel diritto penale del nemico.

Lo faremo attraverso tre testi che parlano tre diversi linguaggi: il sensazionalismo moralizzante dei giornali; il delirio asettico e involontariamente comico di un atto giudiziario; infine, quella che vorremmo fosse la nostra lingua, il parlare autentico e intimo di chi lottando vive.

Vi presentiamo quindi i link ai tre brani, in ordine inverso a quello logico e cronologico degli eventi narrati. Consigliamo di seguire tale sequenza anche nella lettura/ascolto, per percorrere un ideale sprofondamento dalla superficie verso il centro della vicenda.

La vicenda narrata ci permette di affrontare alcuni dei temi del libro Costruire Evasioni. Sguardi e saperi contro il diritto penale del nemico del collettivo Prison Break ProjectIn appendice spieghiamo cosa c’è di vero e cosa di verosimile in questa faccenda.

Francesco e Maria non sono delle vittime, sono forse innocenti rispetto alle accuse che sono state loro rivolte, ma non sono di certo innocui. Come sentirete dalle loro stesse voci si stavano organizzando per mettere a segno qualcosa, anche se chi li ha messi in arresto non ha nemmeno capito di cosa si tratta.

 

Solidarietà a chi sogna di realizzare

Quello che non c’è

 

 

L’articolo esce lo scorso 8 maggio sul Gazzettino di Milano e passa praticamente inosservato, salvo le dichiarazioni di circostanza dei vari esponenti politici.

In quel momento a dominare la scena mediatica nazionale è la notizia che Mattarella ha verificato la possibilità di un governo Lega/5 stelle con affidamento della Presidenza del Consiglio ad una personalità terza. E’ lo sblocco di un impasse istituzionale che dura da due mesi, chi vuoi che se ne importi dell’ennesimo arresto di due sovversivi?

Eppure l’articolo parla di terrorismo, di attentati che avrebbero potuto colpire Renzi e Marchionne, di un’operazione di polizia in grande stile. Ma, evidentemente, ai tempi dell’Isis il “terrorismo” nostrano è una nota di colore da inserire nella colonnina delle news curiose e grottesche, corredata degli estratti delle intercettazioni telefoniche che smascherano i due mostri, giusto per attizzare il voyeurismo di qualche lettore annoiato.

 

Clicca qui per leggere l’articolo del Gazzettino di Milano

 

I brani dell’intercettazione pubblicati dal giornale:

 

 

L’atto del PM Folliero a cui l’articolo del Gazzettino di Milano fa riferimento (citandola erroneamente come ordinanza cautelare) è in realtà una richiesta al giudice di applicazione della custodia cautelare per Francesco e Maria. Appare sullo stesso sito del quotidiano on-line e rimane scaricabile per qualche ora. Qualcuno dalla Procura, resosi conto dell’inopportunità della cosa, deve essersi in seguito mosso per ordinarne l’oscuramento.

Siamo comunque riusciti ad avere copia di un estratto e lo riportiamo nel link cliccabile qui sotto.

 

Leggi l’estratto della richiesta di applicazione della custodia cautelare

 

L’atto della procura parla di un’oscura sigla terroristica, l’FRS. Ciò per cui Francesco e Maria sono sotto indagine è di fatto la loro militanza antifascista, il loro dichiararsi contro partiti e questura, la disponibilità alla violenza politica. Ma ad essere sotto accusa sono anche le loro fantasie, i loro gusti musicali, i loro riferimenti culturali. Quello che nell’articolo del Gazzettino di Milano è il progetto di attentati contro esponenti di spicco del sistema (Renzi e Marchionne) nelle carte della procura ha appena lo spazio di un breve virgolettato “sparamo a Renzi o a Marchionne, va‘”.

I riferimenti ad atti concreti commessi dai due compagni sono quindi piuttosto vaghi. Alcune deduzioni sono spericolate e chiaramente frutto di fraintendimento, come il collegamento con un volantone apparso anni prima dal titolo aletheia , quando con tutta probabilità nella conversazione intercettata ci si vuole riferire proprio al concetto filosofico di aletheia (la verità che scaturisce dalla ricerca, contrapposta alla doxa che indicava per gli antichi greci il mondo delle opinioni preconfezionate).

Per stessa ammissione del firmatario della richiesta di arresto, la procura ignora quali azioni concrete i due indagati stiano preparando, ma “si può presumere che siano legate alle lotte sul fronte carcerario“. Eppure evidentemente dall’intercettazione emerge materiale sufficiente per decidere che sono nemici dello stato.

 

Ma cosa vogliono dirsi veramente Francesco e Maria?

Cosa sfugge alla lente deformata degli inquisitori?

Cosa viene ucciso dalla vivisezione della loro conversazione?

 

 

 

 

Appendice al racconto

Abbiamo scelto di pubblicare questo oggetto narrativo perché ci sembra metta in scena efficacemente i dispositivi tecnici e linguistici usati contro il nemico pubblico. Sebbene il racconto rechi i segni dello sguardo del suo autore (Isuf Ifusi è lo pseudonimo di uno dei compagni di Prison Break Project), l’idea che ne è alla base è maturata mentre studiavamo alcune inchieste contro gruppi di militanti legate ad accuse di terrorismo e ai reati associativi.

Come proviamo a mostrare nel nostro testo “Costruire evasioni”, edito da Bepress, il tono distopico del racconto rappresenta appena un’estremizzazione delle concrete dinamiche che vengono attivate in relazione a questo tipo di accuse.

Il terrorismo e i reati associativi assumono una funzione performativa: semplificando, basta chiamare qualcuno terrorista, sovversivo o eversore dell’ordine democratico per indirizzargli immediatamente un pesante stigma sociale e gravi provvedimenti giudiziari di limitazione della libertà.

Si tratta infatti di configurazioni giuridiche e mediatiche deliberatamente costruite intorno alla criminalizzazione non di condotte concrete, ma piuttosto della stessa soggettività di chi viene colpito. Perciò ad essere sotto accusa in questi casi sono l’ideologia, le relazioni tra le persone, i loro progetti, in fondo i loro sogni rivoluzionari.

Per poter realizzare questa sorta di processo alle intenzioni, l’uso delle intercettazioni acquisisce un ruolo fondamentale. Perciò la repressione democratica rende lecito nei confronti del nemico pubblico ciò che i regimi totalitari operano su scala più sistemica: origliare in maniera capillare e costante “le vite degli altri”, rovistare tra le pieghe dei loro discorsi, rubare fotogrammi della loro vita più intima. Non ci stupisce quindi che tra i numerosi congegni di “voyeurismo poliziesco” ritrovati negli ultimi mesi da compagni/e anarchici/e, vi sia anche una microtelecamera nella cucina di un’abitazione.

Abbiamo avuto una conferma del ruolo fondamentale e multiforme delle intercettazioni analizzando l’inchiesta “Ardire”, ordita qualche anno fa dalla procura di Perugia contro compagni/e accusati di aderire alla Federazione Anarchica Informale.

Come evidenziamo nel lavoro di analisi di tale inchiesta (di prossima pubblicazione sul nostro blog), in molte delle frasi selezionate dagli inquirenti gli indagati esprimono semplicemente le loro convinzioni ideologiche, le quali vengono valorizzate per attribuire l’adesione al progetto “eversivo”. Così, dichiarazioni sulla necessità di abbattere il carcere, di combattere le politiche securitarie, di essere solidali con i detenuti, diventano motivo di attribuzione della responsabilità di azioni ed attentati realizzati all’interno di una campagna di solidarietà con i detenuti.

Tuttavia la funzione repressiva delle intercettazioni non si ferma qui, perché servono anche a sbattere il mostro in prima pagina. L’atto della procura di Perugia con cui sono stati chiesti gli arresti nell’operazione Ardire riporta molte intercettazioni irrilevanti dal punto di vista giuridico, ma utili a gettare pubblico discredito su indagati e indagate, oltre che a seminare zizzania nel movimento. Non è un caso che tale atto sia stato dato in pasto ai giornali che l’hanno pubblicato integralmente.

Insomma, contrariamente a quanto prescriverebbe la legge, l’intercettazione è come il porco, non si butta via niente. E se un elemento non ha diretta valenza incriminatrice magari però può servire ad alimentare la gogna mediatica contro il nemico pubblico. Macchine del fango di cui nessun Saviano si occuperà mai, perché ad esserne oggetto sono soggetti incompatibili con il ruolo della vittima.

Un esempio eclatante di questo tipo di operazioni è un articolo apparso sull’Espresso qualche anno fa. La sedicente “inchiesta” in verità si limitava a glossare, in maniera molto più spinta di come il Gazzettino di Milano fa nel nostro racconto, ampi stralci delle intercettazioni della Digos di Bologna. Cazzeggi tra compagni, goliardia becera e sparate paradossali diventano materiale ghiottissimo per costruire un “pezzo” che ha per sottotitolo “emerge che nella cosiddetta area insurrezionalista c’è anche chi vuole picchiare gli extracomunitari e chi spera di ‘sottrarre terreno’ ai fascisti prendendosela con i gay”.

L’articolo è costruito secondo tutti i crismi della campagna di panico morale, con sfoggio di giudizi moralistici da circolo Auser (“non c’è un’ideologia di base ma solo una serie di slogan “anti””), insulti che non la mandano a dire (“Gli insurrezionalisti che fanno capo al gruppo di Bologna sono violenti e paranoici”) e annunci di imminenti apocalissi (“oggi le comuni insurrezionaliste sparse in Europa sentono che è arrivato il loro momento: la crisi economica e le manifestazioni di protesta gli offrono l’occasione per prendere il controllo della piazza”).

Il sociologo inglese Stanley Cohen ha spiegato perfettamente come funziona: basta manovrare l’opinione pubblica paventando l’avvento di un mostro sociale (un folk devil), coinvolgere quanti più imprenditori morali si riesce in questa campagna di moral panic, calare infine la mannaia della reazione repressiva. E’ così che si costruisce socialmente il nemico pubblico.

Per intercettare i “sospetti” si spendono in Italia 250 milioni di euro all’anno. Con la legge finanziaria del 2017 una parte di questa spesa viene secretata perché passa dalla competenza del Ministero di Giustizia al comparto dei… Servizi Segreti! Non sappiamo quanta parte di queste spese siano rivolte ai processi di compagni e compagne. Nè sappiamo quanto sia il denaro stanziato per geo-localizzare o per video-riprendere.

Sappiamo però che i processi per “associazione sovversiva” o per “associazione con finalità di terrorismo”, i quali si fondano sistematicamente sulle intercettazioni, finiscono quasi sempre con l’assoluzione dal reato associativo (spesso dopo lunghi periodi di detenzione cautelare).

Ma, come dicevamo, le intercettazioni servono ad altri scopi che non a quello di fornire prove di colpevolezza giuridica. E possono rapidamente diventare uno strumento di controllo eccezionale, facilmente estendibile anche al di fuori della repressione dei reati, soprattutto in un’ambiente sociale in cui occhi e orecchie umane sono ormai surclassati dai loro omologhi elettronici.

Inoltre, le intercettazioni rendono chiunque potenzialmente ricattabile e sottomesso, nel momento in cui ogni frammento di vita personale può essere esposto allo sguardo pubblico, anche a prescindere da responsabilità giuridiche.

Ce lo ha mostrato con la sua solita cruda esattezza la serie TV Black Mirror, con l’episodio “Zitto e balla”. In cinquanta minuti di serratissima tensione narrativa i personaggi vengono costretti a fare di tutto sotto la semplice minaccia di rivelare alcuni particolari della loro vita più intima, catturati da una telecamera. Ognuno di loro ha qualcosa da nascondere a tutti i costi, così come nella vita di ciascuno di noi ci sono (per fortuna) parti che non vorremmo sbandierare ai quattro venti.

Non è certo semplice sottrarsi al dispositivo dell’intercettazione in una “società della trasparenza”, in cui domina la compulsione a scoprire integralmente allo sguardo pubblico gli aspetti più reconditi di ciascuna esistenza. Ugualmente non è facile combattere la forza repressiva delle accuse di terrorismo in un ordinamento il diritto penale del nemico assume sempre più peso.

Per questi stessi motivi, tuttavia, trovare i modi per contrastare questi meccanismi è fondamentale, non solo per i militanti e le militanti, ma per la libertà di ciascuno e ciascuna.

 

 

RINGRAZIAMENTI

Un grazie di cuore a Laura e Stefano che hanno prestato le loro voci e il loro genio ai personaggi di Francesco e Maria (qui il loro sito, per avere un’idea delle belle cose che fanno: http://www.teatridellaviscosa.com). Grazie a Denis per i suoi preziosi consigli, a Daniela per l’aiuto grafico e a Luca per il supporto tecnico. E grazie agli amici e alle amiche che hanno letto e dato un parere: Gianluca, Martina, Francesco, Stefania.

 

 

 

 

 

 

 

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