OPERAZIONE RENATA. STORYTELLING PROVINCIALE PER UNA STRATEGIA NAZIONALE (prima parte)
Saranno andati a seguire i corsi della Scuola Holden di Baricco i registi dell’ultima operazione antiterrorismo contro gli anarchici trentini? Quello che è certo è che lo storytelling è molto migliorato rispetto all’analoga inchiesta per 270 bis inscenata in regione nel 2012.
A cominciare dal nome. All’epoca, come sceneggiatori di Boris in crisi di creatività, avevano tirato fuori dal cappello il latinismo: Ixodidae. Non fu esattamente un’idea geniale chiamare in causa il nome scientifico della “zecca”, reminiscenza dell’appellativo che i fascisti usano da sempre contro i compagni. Stavolta hanno scelto il più sobrio “operazione Renata”, dal nomignolo che affettuosamente gli arrestati usavano per indicare l’auto di uno di loro. A suggerire che persino quando maneggiano il ferro rovente del terrorismo, gli inquirenti si sforzano di non perdere la tenerezza.
Ma andiamo con ordine.
Il giorno 19 febbraio, prima dell’alba, 150 uomini fra polizia, carabinieri e squadre speciali (con tanto di passamontagna e giubbotto antiproiettile) coordinati dal Ros (il Raggruppamento Operativo Speciale dei carabinieri che esegue i mandati di cattura degli accusati di mafia o terrorismo) fanno irruzione in una quarantina tra abitazioni private, circoli, palestre popolari, locali e luoghi di lavoro fra Trento, Rovereto e Bolzano. Il risultato: una ventina di indagati (non è ancora stato reso noto il numero esatto), perquisizioni, sequestri (in un caso addirittura di un’intera abitazione, assimilata dagli inquirenti a “covo”, per quasi un mese) e sette arresti.
Le modalità dell’operazione sono brutali, più di quanto non traspaia dai video ufficiali. Persone svegliate alle quattro di notte da agenti armati, abitazioni di parenti, amici o anche solo conoscenti messe sottosopra, irregolarità diffuse e violenze (perquisizioni senza testimoni o effettuate di nascosto, in un caso addirittura l’indagato viene fatto inginocchiare con la testa appoggiata alla parete e con pistola puntata alla tempia). Probabilmente il tutto viene confezionato al fine di scioccare il più possibile la comunità politica di riferimento e criminalizzare preventivamente la stessa agli occhi dell’opinione pubblica (se vengono trattati alla stregua di mostri o mafiosi vuol dire che lo sono davvero).
D’altro canto, una così generosa infornata di arresti e perquisizioni, eseguiti con l’affiancamento alle truppe antiterrorismo delle troupes giornalistiche, sono solo la scena madre di un’operazione mediatico-poliziesca costruita come un banale action movie all’americana. Di quelli che, pur senza trovate particolarmente originali né interpretazioni attoriali davvero convincenti, sanno tuttavia procedere senza grossi cali di tensione narrativa.
Il prologo è di pochi giorni prima, quando viene dato grande risalto alla riunione straordinaria del Comitato per l’ordine e la sicurezza della città di Rovereto, convocata affinchè il prefetto Lombardi e il nuovo governatore provinciale leghista Fugatti possano ammonire tutti su quello che è il pericolo numero uno in città: gli anarchici. Si scoprirà poi che la conferenza era stata preceduta di un solo giorno dalla firma ai mandati di perquisizione e di arresto dell’operazione Renata.
Ma il vero colpo di scena avviene poche ore prima che scattino gli arresti. In una piccola stazione ferroviaria vicino Trento, dove già si era verificato un attacco incendiario attribuito agli anarchici, il rogo di una centralina elettrica paralizza il traffico per un paio d’ore. Così, mentre gli inviati dei giornali nei “covi della cellula terroristica” preparano il materiale per i titoli del giorno dopo, in redazione si lavora alacremente per annunciare in prima pagina a caratteri cubitali: ATTENTATO ALLA STAZIONE.
Piccolo spoiler: un paio di settimane dopo, in qualche trafiletto in ventesima pagina si è rettificato che l’incendio alla stazione non era di origine dolosa. Eppure, ecco come il quotidiano Adige aveva in prima battuta argomentato l’attribuzione agli anarchici del fatto: “un notevole quantitativo di carta è stato fatto bruciare accanto a una serie di centraline elettriche, che sono poi esplose per il calore. La porta del locale di servizio è stata forzata, come hanno verificato gli agenti della polizia locale giunti sul posto insieme ai pompieri”. Insomma,qualche malizioso potrebbe insinuare che, se qualcuno ha appiccato le fiamme, lo ha fatto per attirare l’attenzione sulla pericolosità degli anarchici proprio nel momento in cui si eseguiva l’operazione repressiva.
L’operazione “Renata”, secondo le parole espresse durante la conferenza stampa del Ros che si tiene a Roma il giorno degli arresti, sarebbe volta a sgominare una “associazione eversiva e terroristica” il cui fine è la sovversione dello stato mediante il compimento di numerosi atti di violenza “indiscriminata” e i cui membri sarebbero pronti perfino ad uccidere per portare avanti l’ideale di società anarchica.
Quest’ultimo particolare emergerebbe da un frammento di un’intercettazione ambientale nell’abitazione degli indagati, in cui viene captata una considerazione generale e piuttosto ovvia sulla rivoluzione (“come pensi di fare la rivoluzione senza ammazzare nessuno”), una dichiarazione che non sarebbe nemmeno di paternità degli arrestati. Eppure l’occasione è troppo ghiotta per non essere enfatizzata e strumentalizzata a volontà dagli organi di stampa che si prodigano in titoloni così smaccatamente sensazionalistici (“Erano pronti ad ammazzare”) da somigliare in maniera inquietante a quelli di un racconto distopico che avevamo fatto uscire su questo blog solo qualche mese fa.
Insomma, la costruzione mediatica-poliziesca di tutta l’operazione sembra presa dal manuale “come costruire il folk devil perfetto per una sonnolenta città di provincia”. Non vengono ripetuti gli errori di copione commessi con Ixodidae, in cui la scelta sia dei principali personaggi imputati, trentini e piuttosto conosciuti a livello locale (e non solo), sia della tempistica, letteralmente alla vigilia di una grossa manifestazione No Tav in Trentino, aveva portato il pubblico ad immedesimarsi più nel ruolo dell’antieroe che in quello dello sbirro.
Con Renata invece si agisce in un momento di relativa debolezza della conflittualità sociale. Per il ruolo dei “cattivi” si selezionano giovani compagni attivi nelle lotte (in quelle contro il Tav, ad esempio, ma anche in quelle antirazziste e a fianco dei lavoratori), ma poco noti fuori dal giro militante e quasi tutti “foresti” (ossia forestieri, in dialetto trentino. I giornali hanno più volte sottolineato come solo 2 dei 7 fossero trentini). In un tale contesto, la scelta di non mostrarli mai in foto e una simpatica intervista al parroco che li descrive come ragazzi che sembrano a postissimo, sembra lavorare a rinforzare il topos narrativo dell’“insospettabile terrorista della porta accanto”.
In conclusione, tutta l’operazione lavora (in maniera sufficientemente riuscita purtroppo) sulla performatività comunicativa. C’è una collaborazione evidente tra forze di polizia e giornalisti, non solo nella presentazione delle perquisizioni e degli arresti, ma anche nella scelta di quali aspetti evidenziare e quali mettere in secondo piano. L’accusa di terrorismo viene ripetuta a spron battuto sulle prime pagine e sui TG nazionali, diventando tag per categorizzare la ricerca delle notizie sugli arresti. Al contrario, quando il 19 marzo, si viene a sapere che in sede di riesame l’accusa di terrorismo è caduta, lasciando il posto a quella di associazione sovversiva, alla notizia non viene dato quasi nessun risalto.
Signori e signore, il nemico pubblico è servito!
Sarà veramente passato questo messaggio? In questi giorni i compagni e le compagne stanno moltiplicando gli sforzi nel cercare di spiegare l’entità delle accuse e della posta in gioco. Assemblee, comizi, presidi sotto le carceri dove sono stati portati i compagni e un corteo per le vie cittadine hanno espresso la determinazione nel difendere le persone e le pratiche per cui sono criminalizzate, rispedendo al mittente l’accusa di terrorismo.
Che gli sforzi raggiungano l’obiettivo dipende anche dal contributo di tutte e tutti nel dare concretezza alla solidarietà, anche da prospettive e con modalità diverse da quelle di chi è sotto inchiesta, nella consapevolezza che l’offensiva in corso ci riguarda tutti.
Contributo che sarà tanto più determinante quanto più saprà coinvolgere diverse aree politiche, militanti e non, e saprà guardare all’intera architettura che sostiene l’operazione repressiva, che non riguarda solo i processi o i mandati di cattura. Come vedremo meglio nella seconda parte di questo contributo, i padrini politici che intendono profittare di questo clima di caccia alle streghe o caccia la militante rivoluzionario sono parte del governo giallo verde, ministro dell’Interno in primis ma non solo.
Pezzi importanti del governo hanno patrocinato e parteciperanno ad una tre giorni di incontri a Verona, il 29, 30 e 31 marzo, giorni in cui i peggiori negazionisti, filofascisti e omofobi daranno convegno e propaganderanno le loro dottrine liberticide. Anche questa è repressione, anche di questo le strutture repressive si alimentano.
Sabato 30 marzo ci saranno due manifestazioni. Una si terrà a Torino, contro il clima plumbeo che si respira nella città piemontese (e non solo) e contro l’attacco a spazi sociali e realtà militanti accusate di reati associativi e messi in carcere. Lo stesso giorno, a Verona, si terrà un corteo nazionale volto a negare agibilità politica al Congresso Mondiale delle Famiglie patrocinato dal ministro leghista Fontana.
Sono entrambe iniziative cui è importante partecipare. La lotta contro la criminalizzazione, gli sgomberi, gli arresti dei compagni/e va di pari passo con la lotta contro l’oscurantismo becero e bigotto, la repressione politica è anche repressione di corpi e desideri dei soggetti altri.
A mostrare il legame tra queste due mobilitazioni vi sono anche le parole del presidente della Provincia di Trento, il quale ha rivendicato le cariche poliziesche contro chi contestava una conferenza organizzata sul modello del Congresso di Verona e ha motivato la tolleranza-zero contro ogni forma di dissenso agitando lo spauracchio del nemico pubblico anarchico.
CONTRO IL PATRIARCATO!
CONTRO LA REPRESSIONE!
NIC, POZA, SASHA, STECCO, RUPERT, AGNESE, GIULIO, LIBERI/E!
LIBERI/E TUTTI E TUTTE!
[Fine prima parte. Nella prossima pubblicazione guarderemo al contesto politico e giuridico in cui l’operazione Renata si inserisce]