Contro il 41 bis
Quando si parla di repressione, diritto e “garanzie” di accusati e condannati c’è una sorta di buco nero, che riguarda tutto ciò che inerisce il “carcerario”.
Quali sono le vere finalità del carcere, di questo non luogo in cui i sistemi giuridici, democratici e non, confinano i reietti, gli indesiderabili, i sovversivi, i militanti, i “criminali”? Quali sono le condizioni che rendono possibile, a livello istituzionale, conciliare i principi della “finalità rieducativa della pena” e del “divieto di trattamenti inumani”, con le pratiche di annullamento, di coercizione, di sofferenza e di tortura che il carcere impone nella sua quotidianità?
Per capire la vera natura delle prigioni, oltre a leggere “Sorvegliare e punire” di Foucault si possono seguire i lavori di associazioni come Antigone, Ristretti in carcere e dei gruppi e dei collettivi che si occupano di lottare contro la repressione.
Per quanto concerne il dibattito politico italiano sulla questione carceraria, ci sono alcuni punti nodali, i quali, quando vengono analizzati senza finzione né “abbellimento” retorico, fanno emergere in modo prepotente la vera natura del carcere. Questi sono la detenzione preventiva, l’ergastolo ed il cosiddetto “carcere duro”, ovvero gli articoli 41 bis e 14 bis dell’ordinamento penitenziario.
Su quest’ultimo punto grava un macigno ideologico. Quando viene preso in considerazione, infatti, molti “sinceri democratici” strumentalizzano ad arte lo scopo che, all’inizio degli anni 90 (almeno retoricamente) “giustificava” l’introduzione dell’articolo 41 bis nell’ordinamento penitenziario, ovvero la “lotta allo stragismo mafioso”. In realtà la forma di “detenzione speciale” antenata di quella attuale, ma in tutto e per tutto analoga, è nata nel 1977, ad opera di una tra le tante leggi speciali e poi è stata istituzionalizzata dalla legge Gozzini del 1986. Da allora ad oggi, destinatari del “carcere duro” sono quelli che vengono definiti “irriducibili”, sia che appartengano a sigle della lotta armata sia che rientrino nel novero della criminalità organizzata o meno. Lo scopo reale infatti pare proprio quello di far rientrare il refrattario nei ranghi del carcerato o del “coatto” modello, piuttosto che contrastare fenomeni criminali endemici. E le caratteristiche di questa detenzione servono a verificare quest’assunto.
Spesso in abbinamento all’articolo 14 bis (che prevede una forma estrema di isolamento), il confinato in regime di 41 bis trascorre in cella singola 22 ore su 24; il periodo di due ore di “socialità” è fortemente limitato (mai più di quattro persone insieme, scelte dall’amministrazione, al chiuso o all’aperto); le sbarre delle celle sono sempre chiuse; viene sottoposto a restrizioni per quanto riguarda il cibo (divieto assoluto di cucinare in cella e limitazioni del sopravvitto), la detenzione di libri, (non più di quattro e controllo sui titoli); all’impossibilità pratica di comunicare con altri detenuti (c’è perfino l’interdizione “visiva”, con la chiusura del blindo al passaggio di prigionieri davanti alla cella) viene aggiunta spesso la videosorveglianza perenne di cella e bagno. Prescrizioni puramente afflittive che non possono in nessun modo essere collegate con una sedicente “situazione di emergenziale pericolosità” dei ristretti.
La vicenda di Nadia Lioce, recentemente, ha avuto l’effetto di sollevare, almeno parzialmente, il velo di Maya su questa forma estrema di detenzione. Pur sottoposta al regime di 41 bis nel carcere dell’Aquila dal 2005, è riuscita ad effettuare diverse proteste contro le privazioni via via più pesanti che le venivano comminate, tra cui, in ultimo, la requisizione di libri e materiale cartaceo inerente il proprio processo. Dopo aver eseguito una battitura alle sbarre della cella con una bottiglietta di plastica, viene rinviata a processo per “disturbo della quiete pubblica ed oltraggio a pubblico ufficiale”. Oltre il danno, la beffa. Questa la situazione che ha portato alcuni solidali a manifestare la vicinanza e la solidarietà con Nadia Lioce e che ha portato, come conseguenza, la criminalizzazione e l’emanazione di 31 denunce.
Qui di seguito alcuni link di approfondimento.
http://ildubbio.news/ildubbio/2017/11/14/stata-brigatista-allora-la-persecuzione-legittima/