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Le procure al servizio dei poteri forti – da Communianet

23 Maggio 2014

In questa sezione del blog pubblichiamo articoli e approfondimenti che riteniamo aggiungano utili elementi di riflessione sui meccanismi repressivi. Non ci interessa una perfetta coincidenza tra le nostre posizioni e quelle che qui ospiteremo. Ci preme piuttosto dare visibilità a quei contributi, provenienti dalle più svariate aree di movimento, che ci sembra facciano avanzare la discussione collettiva sulla repressione.

Da communianet un articolo del 22/05/2014 dello Sportello legale di Communia

stop alla repressione

Subito dopo la conferenza stampa indetta a seguito dell’approvazione del Decreto Lupi, sono stati arrestati, mentre erano ancora in piazza, Paolo Di Vetta e Luca Fagiano dei Blocchi Precari Metropolitani. Ancora una volta ci troviamo davanti ad una provocazione da parte delle forze dell’ordine e della magistratura nei confronti dei movimenti ed, in particolare, di quello di lotta per la casa, e all’ennesimo arresto di compagni, a cui, non senza difficoltà, nell’ultimo periodo, abbiamo iniziato a fare tristemente l’abitudine.

In questo caso però non si tratta di un arresto dovuto a disordini di piazza ma ad un cosidetto aggravamento della misura cautelare dell’obbligo di presentazione alla PG a cui i due erano sottoposti per i fatti del 31 ottobre 2013.
Dopo quel corteo, infatti, diversi compagni erano stati costretti alla misura degli arresti domiciliari per i reati di resistenza pluriaggravata e rapina aggravata, quest’ultima poi annullata dal Tribunale della Libertà e conseguentemente sostituita con la misura più lieve dell’obbligo di firma. Evidentemente il loro impegno nelle lotte di questi giorni, contro gli sgomberi avvenuti in questo mese e nella manifestazione del 12 aprile scorso contro il cosiddetto Piano Casa ed il Jobs Act, ha fatto ritenere al GIP e al Pubblico Ministero, impegnati su spinta anche di Digos e Polizia a pieno ritmo nella repressione dei movimenti di lotta per la casa, che la misura dell’obbligo di firma non bastasse più, riaggravandola con quella degli arresti domiciliari.
La decisione di aggravare nuovamente la misura cui erano sottoposti deve ancora una volta far riflettere: Paolo e Luca, infatti, non hanno mai violato quanto prescritto loro dal Tribunale, ma si sono limitati a partecipare alle mobilitazioni contro il decreto Lupi!
Si tratta di un segnale chiaro che ciò che si vuole reprimere è il dissenso stesso.

Per l’ennesima volta, insomma, la magistratura mostra il braccio di ferro verso i movimenti. Negli ultimi anni, infatti, abbiamo assistito ad una feroce offensiva nei confronti delle lotte sociali: in nome della legalità e dell’ordine pubblico – e ancor peggio della sicurezza dello Stato, concepito come un’articolazione separata da coloro, cittadini e non, che lo vivono – ogni mezzo previsto dall’ordinamento è stato utilizzato nei confronti di qualunque tipo d’iniziativa sociale o politica. La costruzione di parabole investigative di ogni genere, molto spesso pericolose e che hanno prodotto come loro conseguenza concreta anni di carcere per chi li ha subiti, ha lo scopo funzionale di affermare nell’opinione pubblica l’idea che chi si ribella allo stato di cose presenti è solo un delinquente.
Attraverso tali ipotesi accusatorie si spera quindi da un lato di reprimere e al contempo spaventare i movimenti sociali, e dall’altro isolarli dal possibile consenso che attraggono.
Non solo, infatti, abbiamo assistito ad una violenta repressione durante le manifestazioni, con scontri, cariche gratuite ed arresti indiscriminati, ma l’offensiva ha raggiunto anche altri fenomeni di autorganizzazione e di lotta: arresti, misure cautelari e procedimenti a piede libero contro chiunque esprima il proprio dissenso, dai lavoratori licenziati agli studenti, che tra l’altro si vedono costretti per la prima volta nella storia della Repubblica ad affrontare un processo per “Attentato agli organi Costituzionali” passando per i movimenti No TAV, No MOUS e contro le discariche; misure di prevenzione (avvisi orali e sorveglianza speciale); sgomberi di occupazioni abitative e di centri sociali; apposizione di sigilli; sequestri; multe; sanzioni amministrative… Davvero un grande affare!
Le procure sono diventate uno strumento di gestione e repressione dei movimenti sociali, giocando un ruolo cruciale, rispetto al quale la politica è sempre più mero spettatore.
Basti pensare che l’approvazione del decreto Lupi, se per un verso restringe le possibilità per gli occupanti di case (che sono poveri, non delinquenti!), d’altra parte stanzia fondi per l’Expo, che invece è un vero e proprio affare per delinquenti veri.
Le varie procure, del resto, avrebbero ben altro a cui pensare, invece di stare dietro a venditori di borse o ad occupanti di casa. Le procure non sono certo state create allo scopo di giocare un ruolo politico, eppure non riescono più a mascherare la loro funzione di protezione dei poteri forti. Ogni giorno si apprende di casi di corruzioni, appalti truccati, legami tra politica e mafia… ma l’unica ossessione dei Pm d’assalto sembra essere quella nei confronti dei movimenti sociali!
Ma vi è di più: sulla pelle dei compagni e delle compagne si testano e si mettono alla prova teoremi giudiziari, si prova a vedere fino a che punto l’ordinamento giuridico ed in particolare quello penale si possa piegare, spingere, possa creare eccezioni continue ai diritti acquisiti per reprimere, soffocare, controllare qualunque forma di dissenso in un periodo di crisi politica sociale e ed economica come quello che stiamo vivendo.
Così nei confronti di Chiara, Nicolò, Claudio e Mattia si è provato a vedere fino a che punto possa reggere l’accusa di terrorismo (artt. 280 e 280 bis, 270 sexies) c.p.) per fatti ben lontani da una tale imputazione;
nei confronti di Gianluca e Adriano si sta provando a limitare il diritto di difesa dell’imputato in un procedimento penale utilizzando per la prima volta la videoconferenza (prima usata solo per i 41 bis);
ed ancora nei confronti degli imputati per i fatti del 15 ottobre 2011, dopo le condanne di Genova, si sta provando a vedere fino a che punto possa reggere un’accusa di devastazione e saccheggio in caso di disordini di piazza.

Ciò che andrebbe indagato, inoltre, è quanto avviene ogni giorno nelle piazze. Bisognerebbe interrogarsi su come gli apparati di Polizia affrontano questa fase, con quali strategie e con quali conseguenze. La strategia di fondo sembra essere una: pugno duro nelle piazze e colpo di grazia nei Tribunali. Non può sfuggire, infatti, che spesso nei cortei, durante le cariche, vengono arrestate in modo indiscriminato persone che hanno la sola colpa di non essere riuscite a fuggire. Un caso emblematico sono gli arresti avvenuti durante la manifestazione del 19 ottobre 2013. Cariche e arresti indiscriminati hanno lo scopo di sottoporre a misure soggetti, spesso giovani incensurati, presi nel mucchio, nella consapevolezza che il risultato sarà quello di non rivederli mai più nelle piazze.
Che interesse ha lo Stato a definire un soggetto, che commette un reato bagatellare – come il reato di occupazione (che dovrebbe essere abolito) – come un soggetto pericoloso?
Come si fa a non ritenere un diritto occupare, ed un crimine, invece, imporre affitti che costituiscono furti sulla pelle della povera gente o portare avanti una speculazione che non è altro che furto aggravato e devastazione ambientale?
Si susseguono episodi di violenza e devastazione da parte dello Stato e dei suoi apparati, che non sono affatto frutto di mele marce, bensì di un ragionato e lucido modo di gestire le piazze e le possibilità di conflitto in questo paese. Nella consapevolezza che le suddette mele marce, come ha mostrato la carneficina di Genova, Bolzaneto e della Diaz, possono in realtà dormire sonni tranquilli.
Le campagne elettorali, tra cui l’ultima di Alfano, si giocano spesso proprio dove la crisi crea maggiore miseria e povertà. La creazione del nemico di turno, sia esso ultras, manifestante o immigrato, occupante di casa, studente, No Tav, No Global, è una vecchia tecnica del sistema repressivo, funzionale alla propria sopravvivenza, che cerca di deviare le menti dai problemi reali del paese, dalle politiche economiche devastanti e dai veri responsabili della devastazione e del saccheggio che ogni giorno tutti subiamo.

In conclusione, bisognerebbe riflettere sull’offensiva a 360° che investe chi lotta e prova ad esprimere dissenso, ponendo in campo strumenti di autorganizzazione e di riappropriazione di spazi; la risposta non può che essere unitaria e deve mirare a portare all’attenzione dell’intera società civile la spinta autoritaria che vive l’Italia in questo periodo.

 

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